(c) Tommaso Protti - Turkish Blue GoldTommaso Protti è nato a Mantova nel 1986 e cresciuto a Roma. Il suo interesse per i problemi sociali lo ha portato ad ottenere una laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Roma Tre nel 2010, e poi – in fotografia. Nel 2011 si trasferisce a Londra dove consegue un Master in fotogiornalismo e  fotografia documentaria presso l’Università di Londra / London College of Communication Arts. Ha lavorato in Italia e nel Regno Unito su una serie di storie, in Francia, su un progetto sui migranti clandestini e in Turchia per un progetto sulle risorse idriche, progetto con cui si aggiudica il primo posto al premio Fotoleggendo 2012. Attualmente vive a Roma ed è impegnato nella realizzazione di un progetto a lungo termine che documenta la regione sud-orientale dell’Anatolia.
Pubblichiamo di seguito l’intervista redatta da Massimiliano Tempesta, Collettivo WSP
1) Fresco vincitore dell’edizione 2012 di fotoleggendo con il lavoro “Turkish blue gold“, sulle conseguenze sociali ed ambientali della costruzione di alcune dighe sul fiume Eufrate.  Puoi dirci qualcosa di più su questo lavoro?
Il lavoro è il risultato di un lunga ricerca iniziata quattro anni fa quando studiavo scienze politiche all’università a Roma. Conseguita la laurea, che la tesi che aveva come tematica della discussione finale proprio il progetto GAP del governo turco, per irregimentare le acque dei fiumi Tigri ed Eufrate, decisi di andare in quelle aree per vedere con i miei occhi le dighe e capirne meglio le problematiche. Quel viaggio segnò profondamente la mia decisione di iniziare un percorso come fotografo e da allora mi sono convinto di poter raccontare con un linguaggio visivo una così complessa questione, di carattere prevalentemente geopolitico, come quella dello sfruttamento delle risorse idriche da parte degli Stati. Il progetto è infatti il tentativo di unire un’insieme di differenti realtà legate allo sviluppo di un mastodontico piano idrico indirizzato a modernizzare l’Anatolia sud-orientale, per metterne in luce le numerose contraddizzioni e tensioni che il progetto GAP sta producendo. I miei numerosi viaggi nella regione e l’incontro con la popolazione locale, specialmente quella degli sperduti villaggi curdi nelle provincie di Batman, Sanliurfa e Hakkari, hanno confermato le mie tesi iniziali e, grazie all’aiuto di alcuni cari amici italiani attivi sul territorio, sono riuscito a trovare la giusta strada per realizzare il progetto. Infine, sebbene ritenga il lavoro pressoché concluso, ho intenzione di continuare a ritornare in quelle aree e sviluppare un progetto a lungo termine che racconti il più verosimilmente possibile la situazione dell’intera regione.
2) A Fotoleggendo torna a vincere il fotogiornalismo, mentre il premio Pesaresi viene assegnato ad un lavoro che ha poco a che fare con il fotogiornalismo e che ha sollevato non poche polemiche, chi ha torto e chi ha ragione? Secondo te il fotogiornalismo è davvero morto?
Non credo che il fotogiornalismo sia morto. Continuo a vedere in giro lavori di grande qualità e profondità, e immagini di notevole impatto capaci di fra riflettere e rendere le persone più consapevoli delle problematiche contemporanee. Riguardo all’ultimo premio Pesaresi il mio giudizio è influenzato da una visione forse troppo romantica del reporter che, come diceva Riszard Kapuscinski, “copre” gli eventi consumando la suola delle scarpe. Detto questo, il lavoro premiato credo meriti attenzione e sia indirizzato nell’intento di informare e sensibilizzare su una tematica decisamente attuale come quella dei social network. Il problema, a mio avviso, è che si tratta di un lavoro più vicino alla fine art che al fotogiornalismo. Non vorrei sembrare poco delicato ma vedere quelle foto e sapere che non è stato il fotografo stesso a scattarle mi mette un pò a disagio. Magari sarò retorico e banale ma la mia personale visione del fotogiornalismo implica una testimonianza diretta di ciò che si osserva, si sente e si odora.
3) Con “Sinx, a positive chain reaction” ci descrivi la vita Shahan e della sua attività di “talent scout” di giovani musicisti londinesi. Sarebbe possibile esportare il suo metodo nella fotografia per far emergere i giovani?
Direi di si. La figura del talent scout è universale. Il sostanziale divario tra la realtà in cui opera Shah e quella del fotogiornalismo oggi sta nella differente capacità del mercato del lavoro di permettere un effettivo sostegno finanziario al talento che si vuole far emergere. Nel fotogiornalismo in particolare, specialmente a seguito della crisi della carta stampata, le risorse e le possibilità di guadagno sono sempre più esigue, con un incredibile numero  di giovani fotoreporter ostinati a seguire gli eventi (spesso oscurati dal mercato stesso dei media) e un limitatissimo numero di giornali in grado di pubblicare e dare lavoro a tutti.
 4)Quando hai scelto di fare il fotogiornalista?
Partiamo dal presupposto che non mi considero ancora un fotogiornalista. Vorrei poterlo diventare ma finchè continuo a guadagnarmi da vivere lavorando come barman e guida turistica, la mia è e continua a essere solo una fortissima passione. Dopo tutto, qualsiasi tipo di professione che si chiami tale ha bisogno di essere retribuita per essere effettiva, cosa che ancora non è per me con il fotogiornalismo.Se invece dovessi raccontare su come è scoccata la scintilla per il fotogiornalismo, il cosiddetto fuoco sacro della passione, mi vengono in mente tre momenti decisivi. Il primo a casa mia a Roma diversi anni fa sfogliando il libro “Passaporto numero 953647H” di Gianfraco Moroldo, trovato per caso nella libreria di mio padre. Il secondo di ritorno dal mio primo viaggio in Turchia tre anni fa quando iniziai ad usare per la prima volta la macchina fotografica per documentare e fui stregato dalla sua capacità di creare una così forte empatia fra me e la realtà. Il terzo, un paio di anni fa durante un viaggio nel sud Italia insieme a quello che considero, senza far nomi, il mio Grande Maestro.
 5)Nella tua formazione fotografica cosa ha inciso maggiormente?
Il mio è un continuo percorso di crescita tecnica, visiva e umana. Ogni esperienza, e ancora non ne ho fatte molte, sono tasselli fondamentali per raggiungere un giorno una certa maturità fotografica. Cerco di divorare quante più fotografie possibile, di far tesoro della capacità di alcuni fotografi di vedere e ripetere in una visione la sintesi di altre immagini . Ad ogni modo, finora ho avuto la fortuna di trovare lungo la mia strada un maestro fantastico che mi sostenuto e che mi continua a seguire, ed è grazie a lui se sono riuscito a migliorare come fotografo ed ad appassionarmi profondamente alla fotografia. Per il resto vengo da una famiglia che mi ha sempre permesso di esprimermi al meglio dandomi tutte le chance per coltivare le mie passioni, e questa infine è la cosa più importante che maggiormente mi ha aiutato e mi aiuta.
6)Sempre più fotografi producono multimediali dei propri lavori fotografici, ti ritrovi in questa tendenza? Il multimediale deve completare il lavoro fotografico o può essere indipendete?
Il multimediale è una grande realtà che assolutamente desidererei sfruttare e ritengo possa essere decisiva nell’evoluzione del fotogiornalismo stesso. Esistono ambiti quali i grant, i concorsi e le campagne di crowfunding  dove l’uso del multimedia è ormai diventato un indispensabile valore aggiunto in grado di dare risalto a tutto il lavoro. Il punto è che bisogna saperli fare e spesso e volentieri occorrono determinate capacità di post-produzione che solo in pochi hanno, e chi ce le ha se le fa pagare a caro prezzo. Per quanto riguarda il multimediale indipendente c’è un solo problema a mio avviso: e chi lo compra alla fine?

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