Ivo Saglietti nasce a Tolone, in Francia nel 1948. Fino al 1978 dirige di documentari a sfondo sociale, poi passa ala fotografia di reportage. Nel corso della sua attività realizza reportage, mostre, pubblicazioni e missioni fotografiche in Salvador, Nicaragua, Cuba, Libano, Palestina, Cile, Colombia, Haiti, Uganda, Benin, Tanzania, Kosovo, Macedonia, Marocco, Uzbekistan, Nigeria, Ghana, Russia. Tra i suoi progetti più importanti, è in Cile tra il 1986 e il 1988 per documentare la situazione del Paese durante la dittatura di Pinochet.Tra il 1990 e il 1992 è in America Latina per una ricerca fotografica di taglio sociale, politico ed economico a 500 anni dall’arrivo di Cristoforo Colombo. Per due volte vincitore del World Press Photo, del premio Fotografi al servizio della pace e della giustizia, del Grant della Fondazione Arte di Anversa, nel 2000 diventa membro associato dell’ agenzia tedesca Zeitenspiegel e di Prospekt nel 2005.
Quello che ricordo meglio di quando ero (ero?) un fotografo alle prime armi era la mancanza cronica di denaro, poi per fortuna le cose si sono stabilizzate nel senso che il denaro è continuato a mancare ma io non ci ho più fatto caso. Per la verità quello che mi sembra manchi oggi, almeno per quanto mi riguarda, è la possibilità di inseguire e seguire le proprie passioni, i propri sogni e la propria libertà: “mettiti in tasca una manciata di pellicole e vai per i mondo” era l’insegnamento scatenante di HCB, ed io lo seguito alla lettera, tutto quello che chiedevo erano 50 rulli di Tri-X e un biglietto d’aereo.
Avevo lasciato la Arriflex 16 per la Leica, sono per carattere solitario, e la macchina fotografica anche lei solitaria (e molto più leggera) mi sembrava più adeguata, meno indiscreta e più disponibile alla riflessione e alla soliderietà. La mia borsa è leggera: due Leica M e pochi obbiettivi, ho due 35mm: un Summaron 3.5 e un Summicron asph. 2 più il 50mm e il 28mm 2, uso da sempre una sola pellicola in B&N che faccio sviluppare in laboratorio, per il medio formato, ho una ALPA e una Hasselblad SWC. Devo riconoscere che il cinema, assieme ai libri, è stata una grande passione, è lo è tuttora, devo molto ad alcuni registi, Bergman, Antonioni, Tarkosky, ma soprattutto Angeloupolos, i suoi lunghi piani sequenza il suo stile narrativo a volte mi accompagnano durante tutto un viaggio, (assieme ad Albert Camus, che considero la mia guida spirituale) e anche dopo nella scelta delle fotografie da stampare, mentre guardo i contatti ascolto la musica dei suoi film. Di Angelopoulos poi la sua volontà di Resistere a volte mi consola, mi sostiene e mi sottrae alla depressione e alla povertà di questo Paese, di Sette e di mafiette.
Ceuta ecc, ho creduto e credo che la fotografia, la fotografia di reportage, abbia una profonda e insostituibile vocazione Umanistica, che debba raccontare dell’Uomo e del suo Destino, ricercandone e riportandone sempre, nella gioia e nella tragedia, la dignità. Quando mi avvicino a queste realtà, (Haiti è stato il paese più doloroso e dove ho sofferto di più) mi faccio sempre riconoscere, mi avvicino il più possibile, voglio che mi vedano e che siano coscienti che sto per fare fotografie che possano anche rifiutarmi se lo credono, mentre non credo molto nella compartecipazione dei “problemi e del dolore”, ma penso che alla base del mio lavoro, di essere li in quel posto e in quel momento ci sia un profondo senso di solidarietà. Lo stile e il linguaggio sono quelli del 35 mm Summaron un po’ di umiltà e molta gratitudine al sig. Atget, HCB, Eugene Smith, Rober Frank ecc.
Purtroppo non ho capitali ne ho grandi proprietà, i miei eredi, se ci sono, dovranno lavorare e lavorare e poi ricominciare a lavorare e ……
5)Vedendo i tuoi lavori e quelli dei maestri del passato fai mai un confronto con le nuove generazioni? Non pensi che te e pochi altri avete comunque segnato un epoca con il vostro stile, con la vostra ricerca, mentre le nuove leve(tranne rare eccezioni) non sono troppe simili tra loro e forse troppo “alla moda”?