Carlo Gianferro romano classe 1970, fotografo freelance. Inizia la sua attività nel 2004 con un lavoro sulla comunità rom rumena e moldava che porta alla pubblicazione di “Gypsy Architecture“.
I suoi interessi principali sono i lavoratori esiliati e le piccole comunità. Ama documentare la vita delle persone all’interno delle abitazioni, mostrando la casa come specchio della personalità del soggetto fotografato.
1) Gran parte dei tuoi lavori sono ambientati all’interno delle abitazioni (Gypsy interiors o african interiors) o all’esterno degli edifici (Goodbye block), mostrando sempre una delle parti più intime e personal di ognuno di noi ovvero la nostra casa.  Nel tuo reportage L’Aquila Aftermath hai mantenuto la stessa cifra stilistica, mostrando l’interno delle tende e l’esterno dei palazzi lesionati.  Hai incontrato difficoltà nel penentrare l’initmità delle  persone? Come fai a conquistarne la fiducia? O ci sono state anche difficoltà tue personali a  mostrare questa tragedia.

In effetti negli ultimi anni mostrare l’uomo negli ambienti domestici sia interni che esterni è diventata la mio “mission“, dipenderà forse da troppo architetti nella schiera famigliare e tra le amicizie che mi hanno contaminato… credo comunque che l’ambiente in cui le persone abitano rispecchi molto la personalità e l’intimità degli individui e volte basta solo una singola foto a raccontare un mondo.E’ vero nel lavoro sull’Aquila ho usato la stessa chiave di lettura di Gypsy Interiros, che, considero valida anche in questo caso, non non ho ritenuto necessario raccontare una tragedia come quella che ha subito il popolo del capoluogo abbruzzese cercando “per forza” la foto sensazionale o commovente. In queste immagini sono importanti le persone che, credo, di aver ritratto mantenedone la dignita. Sono andato all’Aquila solo un paio di mesi dopo il terremoto, quando iniziò a calare l’attenzione sul problema, ho spiegato il mio progetto alle pesone che ho incontrato e, molti lo hanno accolto e hanno posato per me. A parte le foto questo lavoro è stato (ed è tuttora, perchè il progetto è ancora in corso) molto forte a livello emotivo.

2) Guardando la tua produzione abbiamo l’europa, l’africa, l’asia.  Primo mondo, terzo mondo, ex-blocco sovietico, hai riunito tutto quello che fino a pochi anni fà era diviso in maniera netta. Quali sono le differenze e le similitudini che hai notato?

Domanda difficile! Non c’ avevo mai pensato di essere stato in grado di fare questo… Forse il fattore comune è il sorriso che mi ha colpito negli sguardi delle persone che ho incontrato. Primo mondo,terzo mondo, ex-blocco sovietico,  tutte le persone ricche o povere, ignoranti o culturalmente elevate, insomma tutta questa gente diversa che ho fotografato mi ha regalato momenti di intesa e di naturale normalità… siamo esseri umani dalle varie forme e colori, molto curiosi e con tanto da dare e scambiare…

3)Nei lavori “L’AQUILA AFTERMATH” “KAZAKHISTAN OIL WELL FIELDS“,a differenza degli altri, utilizzi 2 scatti per ogni foto.Ad esempio in “Kazakhistan…” un ritratto dell’operaio e lo stesso operaio mentre lavora. Mentre in “L’Aquila…” abbiamo il ritratto del soggetto in tenda e nelle vicinanze della sua abitazione. Come si sceglie lo stile di un reportage?

Il dittico è una chiave di lettura interessante, aiuta in una visione di insieme a capire di più su una persona, chi è, che vita fa…. In realà entrambi i lavori che hai citato fanno parte di progetti più ampi, L’Aquila Aftermath come dicevo,  non è ancora terminato, lo finirò il giorno in cui le persone ritratte avranno ognuno una casa definitiva… oltre agli scatti che ho messo in dittico c’è già un terzo (in alcuni casi un quarto) scatto già fatto che ritre le stesse persone negli alloggi provvisori (alberghi, caserme, case in legno…). Il lavoro sul Kazakistan segue la stessa linea e idea, è solo una parte del lavoro fatto un po di anni fa, il resto sta dentro il cassetto… dovrei riprenderlo prima o poi in altre nazioni o compagnie petrolifere.Riguardo all’ultima domanda, non so dire come si sceglie uno stile per un reportage, io forse, ho trovato il mio, non so se sentirò il bisogno di cambiarlo in futuro o se continuerò con questo. Ognuno deve sentire il suo stile che, dovrebbe essere il più personale possibile e descrivere al meglio quello che noi vediamo.

4) Nei vari lavori sugli interni casalinghi generalmente sei solito inserire anche il padrone di casa da solo o con l’intera famiglia, come fai a convincerli?

Beh,  sono parecchio rompiscatole. Non mi faccio molti problemi a chiedere di fare un ritratto alle persone che incontro anche se non parlo una sola parola della loro lingua. Sento che il rapporto con le persone è naturale. Nel caso di Good bye Block, con un russo fatto di quattro o cinque parole, ho convinto quasi tutti a farsi immortalare… Normalmente poi le persone si lasciano convincere con facilità, forse la mia faccia ispira fiducia, non so…

5) Nel corso degli anni hai vinto alcuni premi importanti ricordiamo anche un WPP nel 2009, la vittoria nei premi internazionali è utile per l’attività professionale o è utile solo per la gloria?

La stagione 2008/2009 la ricorderò a lungo! In effetti il lavoro sui Rom mi ha portato tanta fortuna! Vincere questi premi prestigiosi fa sicuramente bene al morale, e da la forza di continuare e credere che quello che stai facendo, quindi la rispota è: si fanno bene alla gloria ma sono utili anche professionalmente, mi hanno fatto conoscere, portato pubblicazioni, mostre e non ultimo il libro “Gypsy Interiors” edito da Postcart uscito a Agosto scorso. Ora ho iniziato nuove lavori , mi sto concentrando su questi.

6) Cosa consigleresti ad un giovane fotografo che vuole intraprendere questo mestiere?

Io sono l’esempio calzante che se uno va avanti, crede in quello che fa, se produce qualcosa di buono poi i risultati ci sono, sono arrivato a questi riconoscimenti non proprio da giovanissimo… l’importante è fotografare con serenità, con gioia… non  con la speranza dei premi… altrimenti le delusioni sono dure da digerire…

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Carlo Gianferro